… e invece …
Si dice che nei buchi neri che popolano il cosmo tutto si ribalta e va al contrario. Ciò che sulla terra è positivo, là, dentro il buco nero, si trasforma in negativo. Se un umano dovesse andarci subirebbe una sorta di capovolgimento totale, un po’ come le figure antropomorfe delle nostre domus de janas – chiamati appunto “i capovolti” – che man mano che scendono verso “su cabitzabi” tra la vita e la morte, subiscono la metamorfosi e si trasformano in altro.
Nei buchi neri non solo gli orologi girano al contrario ma si nasce vecchi e si muore rimpicciolendosi fino a scomparire. Viene da domandarsi se anche la salute dei conti pubblici, là dentro, risulti a posto quanto più i conti stessi sono disastrosi. Potrebbe essere una soluzione per lo Stato italiano…
Ma torniamo a noi, alla Sardegna, alla sua classe politica, alla nostra personale banda del buco nero.
Nel 2001, come abbiamo visto partendo dai dati forniti dal prof. Pigliaru, nei conti pubblici della RAS c’era un debito di circa 350 milioni. Una cifra, come detto, normale e solvibile per una terra delle nostre dimensioni. E invece…invece di andare verso un risanamento totale, fattibile anche sulla base delle risorse che l’allora “governo amico” (di Pili e Masala) presieduto da Silvio Berlusconi avrebbe dovuto renderci, il debito si è ingigantito. Risucchiati dentro un nuovo buco nero, incapaci di mettere in atto non solo una politica di giustizia e di affermazione di diritti nei confronti dello Stato italiano, ma anche un buon governo mosso dal puro e semplice interesse a far bene e salvare la pelle, gli intrepidi Pili e Masala nel giro di poco meno di 4 anni hanno fatto in modo che il debito si decuplicasse, fino ad arrivare all’assurda cifra di quasi 3 miliardi e mezzo di euro.
Si noti inoltre, per completezza, che gli interessi su un debito del genere ammontano a qualche centinaio di milioni all’anno. Il che significa che se avessimo avuto un governo capace di affermare sovranità ed esercitare un buon governo con il solo risparmio degli interessi maturati a seguito dell’indebitamento impazzito avremmo avuto fondi sufficienti per acquistare in contanti almeno due navi di ultima generazione per quella “flotta sarda” che tutti i sardi da sempre sognano e che è invece diventata una triste farsa.
Renato Soru, durante il suo mandato, riuscì a ridurre questo debito di circa un miliardo. Ci riuscì grazie alla sua abilità in materia di bilancio, attraverso una riduzione degli sprechi, ma anche a una serie di tagli contestati. E fu anche a causa dei malumori che certi tagli provocarono che poté tornare al governo la banda del buco nero guidata da Cappellacci, che non a caso era già stato assessore al bilancio nel 2003/2004. L’asticella del debito pubblico venne prontamente riportata verso l’alto. Nel 2009 la giunta Cappellacci cercò addirittura di far passare nella finanziaria l’accensione di un nuovo scellerato mutuo di 1 miliardo. La proposta naufragò soprattutto per il gran clamore che il mondo indipendentista sollevò contro questo incredibile sistema di gestione finanziaria contrario alle leggi economiche tanto a quelle della natura, del buon senso e della buona politica. Il risultato fu che quell’assurdo intento venne ritirato dalla finanziaria.
La situazione odierna è sotto i nostri occhi. La gestione disastrosa dell’economica della Regione Sardegna la stiamo vivendo sulla nostra pelle giorno per giorno. Ma cosa possiamo fare?
Riscossione diretta delle nostre entrate, questa è la soluzione.
La soluzione definitiva a questo malessere e malaffare sarebbe l’istituzione dell’Agenzia Sarda per le Entrate con funzione di riscossione , ovvero una agenzia sarda incaricata della riscossione dei tributi versati dai sardi (vedi il secondo capitolo su “Fisco, entrate, previsioni statutarie e legislative”).
Ora dobbiamo dunque andare più a fondo sul tema dell’Agenzia Sarda delle Entrate, chiedendoci più nel dettaglio:
- A cosa serve?
- Che benefici ci porta?
- Come procedere?
Il sistema attuale delle riscossioni in Sardegna, come abbiamo visto in precedenza, ci ha causato un danno economico di oltre dieci miliardi di euro. Di questi dieci miliari di euro non abbiamo iniziato a riscuoterne nulla e questo è in gran parte colpa della sudditanza e del timore reverenziale che la classe politica sarda ha nei confronti dello Stato italiano.
Il danno di questa rapina legalizzata è evidente.
Consideriamo anche un altro fattore spesso dimenticato. Non solo lo Stato non ci ha reso i nostri soldi ma mentre questi soldi non rientravano e la RAS si indebitava, noi pagavamo interessi bancari per i mutui che venivano accesi con la facilità con cui si beve un bicchiere d’acqua. Se è vero che parte della responsabilità per tutto questo va attribuita all’incapacità della nostra classe dirigente di affermare la sovranità politica, fiscale e tributaria dei sardi è anche vero che l’Italia non solo non ci ha reso i nostri soldi ma non ci ha neanche corrisposto alcun interesse per il debito che abbiamo dovuto accumulare per sopperire (malamente) alla mancanza delle risorse che proprio lo Stato italiano ci aveva sottratto. Il danno dunque è stato doppio e proprio per evitare questo circolo vizioso, questa doppia presa in giro che mette in ginocchio la nostra economia, noi abbiamo bisogno della nostra Agenzia Sarda delle Entrate.
Ritorniamo ora all’operato di Renato Soru che su questa materia si dimostrò certamente più combattivo di qualunque altra giunta autonomista. Soffermiamoci su quanto avvenne proprio per dimostrare che non è la buonafede dei singoli ma il sistema e la mentalità autonomista che va superata in modo da dar vita a una politica di “sovranità agita” consapevolmente e coraggiosamente.
Renato Soru infatti, dopo aver risposto alla provocazione indipendentista a verificare i conti e aver ottenuto lo straordinario risultato di veder ufficializzato dallo Stato l’ammanco miliardario a danno dei sardi, dopo aver infine portato a Roma ben tremila sardi di ogni schieramento e colore, cedette (come la maggior parte dei sardi) al ricatto morale portato avanti dai maggiori quotidiani italiani secondo cui la battaglia dei sardi per le entrate, portata avanti come battaglia di popolo, era una rischiosa forma di legittimazione e sostegno al sentimento indipendentista. Meglio dunque, prima di scoprirsi indipendentisti senza volerlo, ritornare nel comodo alveo degli accordi politici di palazzo, alla solita fiducia nei “governi amici” e nello Stato.
Ecco dunque nascere l’accordo Prodi-Soru che, al di là delle buone intenzioni e di alcuni buoni elementi, riduceva la somma da restituire, alla voce Iva, a 500 milioni e concordava una resa in 20 anni a comode rate da 25 milioni di euro all’anno senza interessi. L’accordo tra l’altro risultava essere anche una sorta di condono sul pregresso Iva che lo Stato italiano ci doveva per quei 12 anni di buio totale nelle finanze sarde.
Nonostante questo atteggiamento ancora una volta amichevole e fiducioso all’eccesso da parte del governo sardo – quasi un regalo o un perdono se si considera la pubblica ammissione di colpa dello Stato italiano – la risposta tutt’altro che generosa dello Stato italiano non si fece attendere.
Come in quei film in cui il buono risparmia il cattivo, gli tende la mano, e questo lo accoppa senza pietà.
Così lo Stato italiano, da lì a pochi anni, per far capire tutta la sua attenzione e il suo riconoscimento per quei sardi così disposti al perdono e alla mediazione scagliò la sua agenzia di riscossione dei tributi contro gli imprenditori, i commercianti, gli artigiani, gli agricoltori, i pastori sardi: interessi su interessi, mandando di fatto in fallimento gran parte del tessuto produttivo sardo.
Per questo la riscossione diretta delle nostre entrate (così come la nostra capacità di non farci muovere a compassione dallo Stato italiano) è importante, anzi, decisiva.
La riscossione diretta dei nostri tributi è fondamentale per avere finalmente certezza delle nostre risorse, delle nostre politiche, della nostra economia. Per poter intervenire a favore e in aiuto del nostro tessuto produttivo.
Bisogna attivare subito l’Agenzia Sarda delle Entrate . Ne va della salvezza del nostro tessuto produttivo. E della possibilità stessa di impiegare efficacemente i nostri soldi. Perché, lo si noti, anche se avessimo momentaneamente a che fare con uno Stato onesto, incassare i soldi tramite altri è un meccanismo che di fatto ritarda l’impiego delle nostre risorse. E questo è decisivo per una reale politica di sovranità, tanto più in situazione di crisi.
I benefici immediati
Incassare direttamente i nostri tributi, quindi, non è una solo una questione di motivata sfiducia nei confronti dello Stato italiano – motivazione che da un puro punto di vista pragmatico è già di per sé determinante -, non è solo questione di stringente necessità di sopravvivenza ma è anche (e dal punto di vista politico, principalmente) un diritto e una responsabilità che noi sardi vogliamo e dobbiamo assumerci, per il bene della nostra terra e della nostra gente. Per il nostro benessere.
Avere una Agenzia Sarda delle Entrate, sapere immediatamente a quanto ammontano le risorse a nostra disposizione, dunque la nostra possibilità di impiego, ci consente infatti una programmazione più accorta e attenta. Una programmazione economica non fittizia o illusoria, basata su bilanci truccati, ma sull’effettiva disponibilità, significa avere finalmente la possibilità di poter assolvere con immediatezza e certezza agli impegni economici contratti con le imprese che forniscono servizi alla società del settore pubblico; significa evitare che questi imprenditori si trovino in difficoltà economiche perché non hanno ricevuto quanto gli spettava (o perché i pagamenti arrivano a 120 giorni dalla prestazione!).
È questa inaffidabilità dello Stato e della Regione Sardegna, questa incapacità di gestire in modo certo, competente e sovrano le nostre risorse, uno dei principali motivi per cui oggi molti imprenditori si trovano sull’orlo del fallimento o sono già falliti. Molti di loro, quelli onesti, sono finiti nella morsa di Equitalia, perché, non avendo ricevuto i pagamenti, non hanno potuto assolvere agli obblighi fiscali.
Questa prassi politica, a cui in troppi si sono abituati o rassegnati, va cambiata. Non è tollerabile che le istituzioni non ti paghino per il lavoro fatto e, dopo averti condannato a non poter assolvere ai tuoi obblighi fiscali, loro stesse (in modo diretto o indiretto) ti pignorino i beni, case comprese. Questa politica può e deve essere cambiata partendo dalla costituzione e dalla gestione virtuosa dell’Agenzia Sarda delle Entrate abbinata ad un Osservatorio Economico. Avere un Osservatorio Economico, e dunque un monitoraggio trasparente e in tempo reale del nostro sistema produttivo, significa infatti sapere quali settori produttivi sono in crisi, quali necessitano di intervento immediato, quali sono le criticità maggiori, come e in che quantità bisogna intervenire. Questo deve accadere in una società normale e giusta. Questo deve accadere nella Repubblica di Sardegna.
Avere fin da oggi, iniziando a conquistare una nuova sovranità per il nostro popolo, una società che riscuote e gestisce le entrate tributarie, significa anche anticipare i tempi. A gennaio 2012, tra pochi mesi, Equitalia non opererà più per la riscossione dei tributi degli enti locali. Se ci faremo trovare impreparati, come troppo spesso succede in Sardegna, dovremo ingoiare le solite polpette avvelenate dell’Italia e affidare le nostre riscossioni locali ad enti che ancora una volta non faranno gli interessi dei sardi.
Per tutto questo è tempo di una vera Agenzia Sarda delle Entrate.
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