mercoledì 21 dicembre 2011

Tempo di raccolto

V parte
di Giùliu Crechi   e Franciscu Sedda
Nei capitoli precedenti abbiamo visto l’importanza che riveste una riscossione diretta dei nostri tributi, ora è arrivato il momento di capire su quale diritto e su quali procedure istituzionali si basa la riscossione diretta dei tributi.
Per la verità ci sarebbero stati altri argomenti da trattare prima di questo, ma come in tutte le cose il momento della raccolta impone il suo ritmo. Quando i frutti sono maturi vanno raccolti, altrimenti cadono, marciscono e il raccolto va perso. A quel punto si dovrà aspettare l’anno successivo per avere un altro raccolto, ma quello perso rimarrà perso per sempre. Per noi questo è il tempo del raccolto, e più avanti capirete il perché.

Questione di diritto

Abbiamo visto che lo statuto sardo, documento di livello costituzionale, all’articolo 9 recita
“La Regione può affidare agli organi dello Stato l’accertamento e la riscossione dei propri tributi”.
In questo passaggio notiamo due importanti informazioni che ci interessano:
  • la prassi della riscossione tramite gli organi dello Stato, quella che ci ha causato un danno miliardario, non è obbligatorio ma di libera scelta;
  • Si parla di propri tributi.
Il primo non necessita di commenti, è chiaramente una scelta politica. Il secondo merita invece un approfondimento. Quello che va capito infatti è se esso si riferisca solo ai tributi regionali, come è stato detto fino ad oggi seguendo una interpretazione a nostro modo di vedere errata, oppure alla totalità dei tributi citati nell’articolo 8 dello statuto.
Quello che va capito infatti è se esso si riferisca solo ai tributi regionali, come è stato detto fino ad oggi seguendo una interpretazione a nostro modo di vedere errata, oppure alla totalità dei tributi citati nell’articolo 8 dello statuto.
Il punto, noiosamente burocratico ma politicamente decisivo, sta (anche) nella posizione del possessivo “propri”: se andiamo a verificare nel dettaglio infatti ci accorgiamo che i “tributi propri” sono solo quelli istituiti dalla Regione (come nel caso della famosa tassa per l’ambiente erroneamente e maliziosamente denominata dai media “tassa sul lusso”).
La cosa è chiara guardando alla lettera “i” dell’articolo 7 che, enumerando ciò che compone la finanza della regione, fa riferimento anche alle “imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facoltà di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato;”.
L’articolo 7 (che ricade nel TITOLO III – Finanze – Demanio e patrimonio) è tuttavia ben più ampio e comprensivo e non a caso statuisce che “la Regione ha una propria finanza”, non una “finanza propria” – e ci perdoni il lettore ma non siamo certo noi ad aver inventato il burocratese italico di sabauda memoria e non lo rimpiangeremo di certo nella futura Repubblica di Sardegna!
Ecco dunque l’articolo 7:
TITOLO III – Finanze – Demanio e patrimonio Articolo 7 – La Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarietà nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti.
E gli articoli seguenti sono esattamente l’8 – in cui si parla dei “propri tributi”, ovvero quelli versati dai sardi allo Stato di cui la Sardegna ha una compartecipazione – ed il 9 – dove si dice che la Sardegna “può delegare” l’accertamento e la riscossione dei tributi, ma evidentemente non è tenuta o obbligata a farlo.
Insomma, è evidente che la competenza e consistenza finanziaria sarda, la “propria finanza” della Sardegna, non si limita ai “tributi propri”, ma comprende questi insieme al malloppo dei “propri tributi”, che sono la maggior parte della ricchezza prodotta dai sardi e finora riscossa, incamerata e in gran parte indebitamente trattenuta dallo Stato italiano.

Riassumendo

  • La Regione ha una “propria finanza” (articolo 7);
  • La consistenza di questa “propria finanza” è quantificata nell’ articolo 8;
  • La Regione può “scegliere” (ma non è “obbligata”!) di lasciar accertare e riscuotere la sua finanza dagli organi centrali dello stato.
La domanda che sorge spontanea e che ormai tutti i sardi si pongono è: perché dovremmo lasciare ad altri l’accertamento e la riscossione dei nostri soldi?
E la cosa è doppiamente motivata: dalla sfiducia nei confronti di uno Stato che ha tradito ogni regola e fatto carta straccia di ogni contratto con la Sardegna, ma anche da una più fondamentale e profonda esigenza di responsabilità. Non solo dunque un moto di legittima autodifesa ma una più dirompente volontà di diventare adulti, di emanciparsi, di affrontare la sfida a governarsi da sé, a gestire la propria ricchezza, come farebbe chiunque decide di farsi una vita propria.
Qualunque cosa sia successa in passato, qualunque scelta si sia fatto prima, oggi la forza dei fatti e la forza della nostra volontà ci spingono verso una reale sovranità tributaria che è il preludio della sovranità fiscale e dunque della piena e concreta sovranità politica.

Come procedere

Intanto teniamo conto di una cosa: a situazione vigente ciò che noi sardi stiamo progettando di mettere in opera è ciò che i siciliani hanno già. Il nostro percorso è dunque fin da ora legittimato da un precedente importante, il DPR del 26 luglio 1965, n. 1074 in cui si concede alla Sicilia la riscossione diretta dei propri tributi.
E qui è bene ricordare che la Sicilia è, istituzionalmente, un pari soggetto della Sardegna, una Regione autonoma. In base a quale criterio dovrebbe essere concesso un diritto ad un soggetto e negato ad un altro di pari grado?
A questo punto cosa serve per procedere alla riscossione dei nostri tributi?
Semplicemente si tratterebbe, da parte del governo sardo, di affermare il proprio diritto a riscuotere i tributi.
A questo punto qualcuno dirà, mettendo come al solito le mani avanti, che per rendere questo gesto valido servirebbe comunque una sentenza della Corte Costituzionale. E che questa sentenza non esiste.
Ammesso e non concesso che così sia, è abbastanza ovvio il motivo per cui la Corte Costituzionale non si è mai pronunciata in materia: se nessuno pone la questione, se il governo sardo non afferma la sua volontà di riscuotere i tributi, la Corte Costituzionale non è tenuta a pronunciarsi in materia.
Il ragionamento tutto “sardo” del “non ci provo nemmeno perché intanto me lo cassano” va ribaltato, a meno che non si voglia fare la fine del ragazzino eccessivamente timido che non ci prova mai per non essere rifiutato, e così rimane eternamente a bocca asciutta. Noi dobbiamo affermare i nostri diritti. Ad altri la responsabilità e il rischio di negarceli.
Eccoci dunque al punto di partenza: è tempo di raccolto.
Siamo a fine anno e in questo periodo il governo sardo deve lavorare alla prossima finanziaria. Ed è proprio lì che si deve operare.
Si sancisca la riapertura dell’ARASE e gli si dia mandato di accertamento e di riscossione. Si abbia dunque il coraggio di innescare “la causa” che porterà la Corte Costituzionale a doversi pronunciare ed emettere sentenza sulla costituzionalità della procedura di accertamento e riscossione dei propri tributi.
Sia l’Italia poi a prendersi la responsabilità di negarci un diritto.
Noi sardi, noi indipendentisti, non abbiamo più intenzione di rinunciare a ciò che ci spetta, a ciò che è nostro.

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