sabato 26 febbraio 2011

Nelle rose



Per guidare un popolo bisogna anche saper cogliere le opportunità quando queste si manifestano, anche se queste, purtroppo, sono derivanti da tragiche destabilizzazioni politiche, da vivere e concepire quindi non come opportunismo ma  come opportunità.

Alla crisi economica che sta colpendo tutto il mondo non sfugge certo la Sardegna, perennemente in mano a chi non sa, non vuole e dovrebbe fare il bene del proprio popolo ma fa tutt'altro e questo lo vediamo e accertiamo guardandoci semplicemente intorno, o leggendo la situazione economica della Regione.

Se guardiamo Cagliari ci accorgiamo dell’assurdità politica amministrativa  che vive la maggior città per densità abitativa della Sardegna: carenza di edilizia popolare, carenza di provvedimenti amministrativi favorevoli al mondo sociale ed imprenditoriale, carenza di infrastrutture e coordinamento.

Il Porto Canale e quello civile ad esempio, o una seria programmazione nella ricettività turistica e mercantile. Sappiamo bene come con il Porto Canale si sia fatta sfuggire l’opportunità di diventare il centro mercantile del Mediterraneo, oppure di non essere mai riusciti a ritagliarsi una centralità nel ricco traffico crocieristico che con il clima favorevole e una seria amministrazione e programmazione una città come Cagliari potrebbe mostrarsi in tutta la sua bellezza a quel settore disposto e disponibile a portare economia ad una città in  perenne crisi come Cagliari.

Invece troviamo solo una città completamente impreparata e per nulla collaborativa con le compagnie del settore.

La destabilizzazione politica del Medio Oriente ci offre, loro e nostro malgrado, questa opportunità. Le grandi società crocieristiche, con tutti i pacchetti viaggio già venduti da tempo, hanno necessità di modificare le loro offerte, non possono più approdare nelle mete classiche, in Tunisia, Egitto e Tripoli tanto per citarne alcuni.
Cagliari dunque è naturalmente la meta che consentirebbe l’alternativa alle mete crocieristiche, e lo è, visto che già la società Costa Crociere ha chiesto l’approdo, imbarco e sbarco al porto di Cagliari, ma Cagliari è impreparata ora, se non si interviene con provvedimenti urgenti ed immediati questo turismo si trasferirà altrove e noi perderemmo l’ennesima opportunità di “diventare” qualcosa di più di un puntino sulle Cartine geografiche e i cagliaritani e tutta la Sardegna perderebbero questa ennesima opportunità di sviluppo e di mettere in vetrina i suoi gioielli naturali.

Imbarco e sbarco non è la semplice azione del classico check-in ma tutto l'indotto che viene a determinarsi da questo: arrivo/partenza da ogni destinazione sia per l'imbarco che per lo sbarco a fine crociera, con operatori aerei, trasportatori privati, ricettività e tutto ciò che viene richiesto e generato da migliaia di persone ogni volta che si parte o si arriva da una crociera, compreso chi per necessità o piacere anticipa l'arrivo o posticipa la partenza.

Anche il settore mercantile oggi potrebbe riprendersi ciò che non si è riusciti a prendere sempre per l’incapacità della politica unionista, del suo asservilismo e compiacimento a quel sistema. La posizione centrale nello scacchiere del Mediterraneo ne favorisce la convenienza, quella convenienza che scompare davanti alla mancanza di infrastrutture e incapacità di programmazione.

Oggi si ripropone nuovamente l'occasione per potersi inserire nel settore, le grandi compagnie navali mercantili devono trovare nuovi porti alternativi a quelli in cui c’è destabilizzazione politica o sono troppo vicini a quegli scenari: Cagliari sarebbe finalmente il porto preferito, centrale.

Ma anche qui siamo impreparati per accogliere e sfruttare l’opportunità, quella di saper vivere e utilizzare il bene di essere centrali nel Mediterraneo. Quella centralità che la natura ci ha regalato e di cui non sappiamo coglierne le opportunità, anche qui un provvedimento politico urgente consentirebbe a Cagliari, ai cagliaritani e a tutti i sardi, di cominciare a scrivere una propria storia e diventare finalmente quello che le spetta di diritto naturale: capitale del Mediterraneo.

domenica 20 febbraio 2011

La legge del Caronte



Angela Marino, passenger department manager della compagnia Grimaldi Lines, nel comunicare la ripresa delle tratte Italia/Sardegna rende noto pure che i prezzi saliranno in media del 10%, in linea con gli aumenti degli altri operatori, precisa.
Si dice convinta del fatto che un aumento del genere non penalizzerà troppo la destinazione e si augura contemporaneamente che anche gli hotel dell’isola operino anch’essi una revisione dei prezzi, ma al ribasso,  e giustifica il tutto - il suo rialzo e il ribasso altrui - con il fatto che la crisi in atto nell’Africa del nord e nell’Asia meridionale sia forte “consigliera” ai vacanzieri per preferire la già preferita Isola, quindi il traffico aumenterà sicuramente, la sua compagnia genererà più profitti e gli imprenditori sardi devono accontentarsi della "quantità".

Un consiglio di cui si farebbe tranquillamente a meno  se consideriamo l’incongruenza tra la politica economica aziendale che vuole adottare e quella che propone per gli imprenditori sardi. 

Grimaldi Lines, sede legale a Palermo, Sicilia, operatore navale che opera anche sulle tratte da/per la Sardegna, paga le sue tasse in Sicilia, dipendenti sardi quasi assenti, quasi del tutto assenti alimenti o altri prodotti sardi da vendere a bordo, riprende le tratte solo nel periodo grasso quindi non certo per un servizio ai sardi ma solo per generare profitti e lo fa alzando le tariffe e ne è liberissimo dal momento in cui è un imprenditore privato, ma chiede che gli imprenditori sardi o che comunque operano in Sardegna ( ricordiamo che ora chiunque generi profitti in Sardegna, anche se con sede legale fuori paga le tasse in loco, ma non certo le compagnie navali) devono abbassare la cresta.

Insomma, non basta, a noi sardi, una classe politica sarda incapace di generare benessere al proprio popolo, non basta che a decidere per noi le politiche dei trasporti siano altri, ora ci sono anche gli imprenditori privati che si “impicciano” delle politiche economiche degli imprenditori sardi, consigliano gli altri  al ribasso mentre loro, tutti, operano al rialzo.

Siamo del tutto assenti riguardo i collegamenti  marittimi e aerei da/per l’Europa, siamo in mano ad operatori privati che decidono come dobbiamo viaggiare, quando possiamo, dove fare scalo e quando possiamo farlo.

I tempi sono ormai talmente maturi (tanto che a breve comincerà la decomposizione) per dotarci di una compagnia di navigazione e aerea sarda, per decidere da noi come, dove, quando e come viaggiare e che generi profitto, dia lavoro, benessere e opportunità a chi vive nel luogo per cui si genera un traffico di diversi milioni di persone tutto l’anno con cinque  grandi compagnie marittime passeggeri, una quantità imprecisata di operatori merci, diverse compagnie aeree  europee che operano e prosperano e danno benessere ad altri, possibile che questo non faccia accendere una piccola lampadina in testa a chi governa la nostra terra? 

venerdì 18 febbraio 2011

Decisione prevedibile di Cappellacci: nessun ricorso alla Corte Costituzionale.



 Giuliu Cherchi e Bobore Bussa


Finalmente Cappellacci ci ha rivelato cosa intende fare sulla questione della vertenza entrate: ricorrere per conflitto di attribuzione con lo stato! Nessun ricorso alla Corte Costituzionale.


Nella finanziaria dello stato italiano non è indicata la chiara e completa messa a disposizione dei soldi delle maggiori entrate in base all'accordo Soru/Prodi e le altre entrate che non vengono neppure menzionate (come quella compartecipazione alle entrate derivanti dai giochi), ma di spettanza regionale in base al nuovo accordo sull'articolo 8 dello statuto,  insomma, i famosi 5 miliardi di euro restano ancora  nelle casse centrali dell’Italia e a quanto pare ci resteranno  a lungo.

Cappellacci ha incaricato due esperti esterni, tra cui Valerio Onida ex presidente della Corte Costituzionale, per farsi consigliare su quale fosse la strada migliore da intraprendere per rientrare in possesso di ciò che è sancito dall’accordo e scritto nello statuto, che ci appartiene, è dei sardi.

La risposta di Onida è stata negativa rispetto alla ipotesi di ricorso alla Corte Costituzionale perché questa procedura non assicurerebbe la vittoria in quanto il bilancio nazionale contiene, per le Regioni, alcune voci complessive, al cui interno è compresa una quota imprecisata per la Sardegna.
Difficile, continua Onida, misurare quanto si discosti dalle previsioni statutarie. In base al suo “consiglio” quindi, la cifra imprecisata sarebbe nel totale indicato per tutte le regioni, nella somma totale, una battuta del miglior Totò verrebbe da dire.

Ma ai sardi provoca una risata a denti stretti il fatto che questi totali sono come quelli che ci includevano e si trovavano anche nei fondi FAS, dove noi siamo finiti nella parte sottratta, molto sottratta, anche li nel totale c'eravamo ma era solo a titolo di presenza.

Di suo, Cappellacci, dice che, sentiti i soliti consiglieri, si ricorrerà alla Corte ma per conflitto di attribuzione con lo stato. Ovvero, la Corte dovrà sancire quanto già si sa, ovvero che quei soldi ci  spettano e non sono di competenza dello stato. 

Che bisogno c'è quindi di ricorrere per avere una sentenza su ciò che già è stato sancito? Bisognerebbe prendersi ciò che è già sancito per diritto e non farselo ribadire con sentenza. La verità è che questa classe politica è da sempre rinunciataria, in modo preventivo, sopratutto quando deve difendere un diritto dei sardi. 

Lo è da sempre rinunciataria e in questo rinunciare c'è sempre stata una coerenza maniacale e bipartisan visto che nessun schieramento politico sardo autonomista, di destra come di sinistra, che sia stato al governo della RAS, ha mai osato sfidare l'Italia per difendere gli interessi della Sardegna ricorrendo alla Corte Costituzionale. 

Si sarebbero potuti fare decine di ricorsi in base all'articolo 51 dello statuto che recita: “La Giunta regionale, quando constati che l'applicazione di una legge o di un provvedimento dello Stato in materia economica o finanziaria risulti manifestamente dannosa all'Isola, può chiederne la sospensione al Governo della Repubblica, il quale, constatata la necessità e l'urgenza, può provvedervi, ove occorra, a norma dell'art. 77 della Costituzione.”.

Di danni economici derivanti da provvedimenti, dalle leggi o dalle loro applicazioni da parte dello stato italiano ne abbiamo avuti tanti in questi 60 anni di autonomia, eppure mai un ricorso degno di nota, solo accordi dicono loro, accordi come vuoti a perdere, l'Italia non li ha mai rispettati. 

Come non ha rispettato i patti economici sanciti dall'accordo Soru/Prodi, quindi l'accordo non è più valido per insolvenza da parte dell'Italia e perciò l'unico sbocco è quello di chiederne l'annullamento e la ricontrattazione della cifra integrale della vertenza entrate,(che, ricordiamolo, era di ben dieci miliardi non di 5), con tutti gli interessi, gli stessi che la Sardegna sta pagando alle banche per i mutui che ha dovuto contrarre per mancanza di fondi, ma pure per mancanza di coscienza e consapevolezza di questa classe politica.

I tempi sono maturi affinché la Sardegna inizi a dotarsi di una vera classe politica, responsabile.

Accordo Soru/Prodi



Brevemente i fatti:
Lo Stato italiano, per 12 anni, non ha versato alla Sardegna le imposte che ci spettano per Statuto: in poche parole, lo Stato italiano ha trattenuto illecitamente circa dieci miliardi di euro dei sardi.

Dopo la ripetuta denuncia da parte degli indipendentisti di tale mancanza il governo regionale di Soru si impegna a verificare la segnalazione e porta ufficialmente allo scoperto ciò che tutti sapevano ma non volevano ammettere: l’Italia deve alla Sardegna circa 10 miliardi di euro.


Davanti all'apertura della cosiddetta “vertenza entrate” il governo italiano, in un primo momento di centro destra, dice chiaramente, tramite il suo ministro delle finanze Tremonti, che i sardi si sono svegliati troppo tardi, il che equivarrebbe secondo lui a  “ormai vi abbiamo fregato”.


Caduto il governo di centrodestra, sale al governo il centrosinistra che, tramite il sottosegretario alle finanze Letta, ci fa sapere che è vero, si sono fregati i nostri soldi.
Soldi, è giusto ricordarlo, che sono dei sardi e spettano ai sardi per l’ordinaria amministrazione, ovvero per il finanziamento dei servizi essenziali della comunità.


Soru, senza averne il potere, in quanto, come appena ricordato, si parla di soldi per l’ordinaria amministrazione derivanti dalle imposte pagate dai sardi non del presidente della regione che deve solo amministrarli e per il bene dei sardi non di altri, “patteggia” la cifra che lo Stato ci deve rendere dimezzandola del 50%, portandola a 5 miliardi di Euro (la metà di quanto ci spettava) e con l’impegno da parte del governo italiano di renderci la somma a rate di 500 milioni all’anno.


L’accordo del dimezzamento del debito era basato sul riconoscimento di “maggiori” entrate, cioè lo stato ci riconosceva una compartecipazione maggiore dei nostri stessi soldi ( assurdità incredibile) in cambio però dell’abbuono della metà del debito. 


A far la parte degli stupidi diciamo che è passata e va bene ( ma non va bene per nulla), ma quello che  proprio non va in questa fase è che Prodi infilò nel carrello della spesa di Soru anche la spesa sanitaria e quella dei trasporti pubblici senza una controparte anche se Soru mise in conto queste maggiori entrate per sostenere le spese dei trasporti e quella sulla sanità.


 Ma cosi non era perché le maggiori entrate sarebbero ( condizionale molto d’obbligo) dovute andare a coprire la parte mancante  dei 5 miliardi, in pratica una sorta di resa negli anni di quei 5 miliardi cancellati dal debito. 

La giunta Soru, confidando in questa restituzione ( i 500 milioni/anno della restituzione concordata), li ha iscritti a bilancio per gli anni a venire anticipandone l’entrata, ci contava anche la giunta guidata da Cappellacci. La Corte dei Conti però cassa il provvedimento, cosicché la regione sarda si ritrova senza copertura per un miliardo. 



L’esecutivo sardo non trova altra soluzione che ricorrere nuovamente al sistema creditizio bancario, l’unico meccanismo di politica economica che questa classe politica sa concepire. 


Articoli del periodo:
http://www.regionesardegna.it/j/v/491?s=57544&v=2&c=1489&t=1
http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_55_20051108100808.pdf
http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_26_20051020095341.pdf

lunedì 14 febbraio 2011

Il pieno, grazie.


LEGGE REGIONALE 19 GENNAIO 2011, n. 1
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione  (legge finanziaria 2011)
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Art. 1 
Disposizioni di carattere istituzionale e finanziario

1. Alla copertura del disavanzo a tutto il 31 dicembre 2010, stimato in complessivi euro 1.700.000.000, derivante dalla mancata contrazione dei mutui già autorizzati a pareggio delle precedenti manovre finanziarie, si provvede mediante rinnovo, anche per quota parte, nell'anno 2011, delle predette autorizzazioni:
a) euro 500.000.000 ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge regionale 14 maggio 2009, n. 1 (legge finanziaria 2009);
b) euro 165.759.000 ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge regionale 24 febbraio 2006, n. 1 (legge finanziaria 2006);
c) euro 568.000.000 ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge regionale 21 aprile 2005, n. 7 (legge finanziaria 2005);
d) euro 389.724.782,70 ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge regionale 3 dicembre 2004, n. 9 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 11 maggio 2004, n. 6 - legge finanziaria 2004);
e) euro 76.516.217,30 ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge regionale 11 maggio 2004, n. 6 (legge finanziaria 2004).
2. La contrazione dei mutui di cui al comma 1 è effettuata, sulla base delle esigenze di cassa, per una durata non superiore a trenta anni e ad un tasso di riferimento non superiore a quello applicato dalla Cassa depositi e prestiti; i relativi oneri sono valutati in euro 96.312.000 per ciascuno degli anni dal 2012 al 2041 (UPB S08.01.005 e UPB S08.01.006).

Comincia cosi, con questo primo articolo, la finanziaria della Ras (Regione Autonoma Sardegna) 2011, quello per cui si è arrivati dopo un lavoro lungo e faticoso, se non si fosse varata prima del 21 gennaio si avrebbe avuto il commissariamento.
Su altri articoli abbiamo già parlato, ora cerchiamo di capire questo:
nelle finanziarie si calcolano le entrate e le uscite e quando le entrate non coprono completamente le spese, si chiede, anche per piccole parti, l’autorizzazione alla contrazione di mutui a copertura. Succede che non occorra contrarre mutui durante l’esercizio corrente e per il quale è stato richiesta l’autorizzazione di quei mutui, e rimangono li le autorizzazioni anche se sono iscritte regolarmente a bilancio. 

Ecco, in questo caso potrebbe essere utile ripescare quelle autorizzazioni, sono state già iscritte nei bilanci precedenti ma non contratti, quindi vengono utilizzati nella finanziaria corrente ma sono iscritti in quelle precedenti. 

Quindi non incidono direttamente nella voce entrate di quell'anno perché già approvate in altri bilanci, ma non il loro assolvimento e qui dice chiaro che questo assolvimento corrisponde a  96 milioni e 312 mila euro/anno dal momento in cui vengono contratti, che tradotto in base al calcolo a scalare dei prestiti possiamo dire che almeno per i primi anni è tutto e solo interesse, oppure, ma solo per immaginare la portata, che questi mutui ci costeranno 50 milioni/anno per trent'anni.
Cinquanta milioni corrispondono a circa 1/12 della Sassari Olbia, oppure a  cinquantamila stipendi da mille euro,  per ben 30 anni.
Questi mutui in genere si prendono a copertura delle spese perché mancano le entrate per coprire le spese preventivate per quell’anno.

Ma mancano? Oppure c’è l’incapacità di saper gestire quelli che ci sono, o peggio, quello di saperli difendere? In questi stessi giorni nel consiglio della RAS si dibatte ancora sulla necessità di ricorrere alla Corte Costituzionale perché lo stato italiano non ha disposto l’erogazione delle maggiori entrate della vertenza entrate e che corrisponde ad una cifra superiore a questo mutuo.

In poche parole si sta ricorrendo ancora al sistema dei mutui che ci costeranno interessi notevoli e lo si fa proprio citando a garanzia “della giustezza” degli interessi proprio la finanziaria dello stato italiano ( la cassa depositi e prestiti), interessi che pagheremo alle banche, quelle controllate dalla banca d’Italia, la banca dello stato italiano. quindi non solo non riceviamo quanto nostro, non solo non riceveremo interessi per il mancato versamento delle entrate, ma addirittura pagheremo noi gli interessi a chi invece ce li dovrebbe pagare.
E si sono pure impegnati per vararla in tempo questa finanziaria.
Si dirà che è solo per precauzione il rinnovo dell'autorizzazione, che è prassi, che si fa per "non si sa mai", ma vista la storia di questa classe autonomistica c'è poco da pensare positivo.

Seguirà … purtroppo.

domenica 13 febbraio 2011

Vertenza entrate e le miniere dell’assurdo




19 gennaio 2011
di Franciscu Sedda e Guliu Cherchi

Qualche giorno fa per alcune ore gli organi di stampa hanno riportato che la Regione voleva rinunciare al ricorso sulla vertenza entrate nei confronti dell’Italia. La notizia è stata successivamentesmentita da Cappellacci. Ma viene da chiedersi, smentita fino a che punto?

A cosa serve un ricorso nel momento in cui si smantellano gli enti e gli organi, come l’ARASE, che dovevano servire ai sardi per porre finalmente sotto controllo le proprie entrate? Quale segnale si dà ai cittadini sardi, da un lato, e allo Stato italiano, dall’altro? Quello che ci si prepara a tutelare i diritti del proprio popolo, contro le ingiustizie commesse da uno Stato iniquo (e straniero), o che ci si prepara a sacrificare il proprio popolo e la propria ricchezza pur di riconfermare fedeltà e sottomissione allo Stato italiano?

È proprio per rimarcare la morsa dentro la quale ci troviamo che avantieri, dopo aver appreso che nella finanziaria era contenuta la chiusura dell’ARASE, l’ente che dovrebbe garantire ai sardi l’accertamento (per ora) e la riscossione (si spera in un breve futuro) delle entrate, avevamo fatto notare che eliminando quel potere di controllo ci si preparava a pronarsi volontariamente e compiacentemente davanti al volere e all’interesse dello Stato italiano.

In barba agli interessi della nazione sarda e ai diritti dei sardi. 

A cosa serve quindi ricorrere verso un’ingiustizia quando i fattori che l’hanno generata vengono ripristinati? Ci si chiede a questo punto cos'altro ancora debba succedere affinché i sardi capiscano a quali devastazioni economiche (oltre che culturali) li condanni l’autonomismo. 

La Sardegna è come un fondale martoriato da una illegale rete a strascico che rastrella tutto, anche i pesci più piccoli fino a rovinare definitivamente il fondale, il nostro ecosistema, il nostro sistema economico. 

Il punto è che questa rete a maglie strettissime che si chiama autonomia, questa rete che pesca le nostre risorse per far sì che qualcun altro, sulla grande barca ne possa godere alla nostra faccia, l’abbiamo voluta e la continuiamo a tenere in vita noi sardi.
Altro che miniere di carbone: in Sardegna il materiale da estrazione più comune è l’assurdo, materiale impalpabile eppure mortale, altrove rarissimo e qui invece, purtroppo, abbondante. In quale altro luogo potrebbe considerarsi infatti “normale” una tale spoliazione di risorse, una così plateale ingiustizia e una così misera rinuncia a lottare per i propri diritti e per il proprio popolo?

E che dire di quell’altra assurdità insana e diseconomica che sono le basi militari, con la relativa distruzione del territorio e le conseguenti malattie mortali? Solo la classe dirigente sarda pare non essersi ancora accorta degli effetti delle attività di guerra, delle sperimentazioni di armi, che da anni si compiono in Sardegna.

Non bastava il fatto che l’ONU ormai da tempo ha dichiarato che le armi all’uranio impoverito sono ritenute “armi non convenzionali”? Non bastava il fatto che lo stesso presidente della Repubblica italiana quasi un anno fa ha firmato un DPR in cui lo stato italiano riconosceva un indennizzo ai sardi che vivono nelle vicinanze delle basi militari proprio in quanto erano state riscontrate malattie incurabili derivanti dalle attività dei poligoni?

Per fortuna che su questo un po’ di coscienza popolare è cresciuta e soprattutto si sta passando da forme di protesta sterile – che allontanavano le stesse popolazioni e i lavoratori coinvolti – a proposte concrete di bonifica e riconversione, in modo da garantire salute e lavoro contemporaneamente.

E infine, visto che di terre devastate e di miniere dell’assurdo stiamo parlando, che dire dell’articolo della finanziaria che riporta che a farsi carico del risanamento delle colline di Furtei derivanti dalla lavorazione dell’estrazione dell’oro da parte della Sardinia Gold Mining saranno ancora una volta i sardi? Dopo che la Regione ha lasciato alla società australiana la possibilità di arricchirsi attraverso l’attività estrattiva ora obbliga i sardi a pagare i conti del dissesto ambientale, economico e sociale.

Ancora una volta, nella miglior tradizione italiana, ecco servita la ricetta: “privatizzazione dei profitti, socializzazione delle perdite”.

Insomma, pochi ricchissimi sporcano e incassano, tutti gli altri, noi normali cittadini, paghiamo per rimediare ai loro danni e ai loro debiti. A questa politica sarda così italiana e così provinciale, così assurda e così ingiusta, forse sfugge il senso di quella norma europea universalmente nota e intitolata “chi inquina paga”.

Eppure non sembra una norma così difficile da capire e probabilmente neanche da attuare, la norma prevede che a pagare sia il responsabile diretto, in mancanza, per mancato controllo, è responsabile il ministero dell’ambiente.

Certo, per farlo ci vorrebbe un po’ di senso di dignità e un minimo di amor proprio, per se stessi, per la propria terra, per il proprio popolo. Ma come aspettarselo, questo amore, da questo autonomismo che continua a estrarre assurdità e depredare i nostri fondali? L’unico atto d’amore è quello di sfuggire a questa rete predatrice e ricominciare a estrarre, da dentro noi stessi, intelligenza, spirito d’iniziativa, volontà di autodeterminazione.

Le sorprese nella finanziaria della Regione



14 gennaio 2011
L’altro ieri è stata approvata la legge finanziaria della Regione Autonoma Sardegna. Siamo in attesa di leggere il testo nel Buras per capire bene se l’elefante stavolta ha partorito un elefantino o il solito topo. Intanto alcune anticipazioni sui giornali sardi ci danno un primo quadro della situazione.
La parte che, per ora, sembra più innocua ma che in realtà dovrebbe preoccuparci è quella relativa all’agenzia delle entrate sarda – l’ARASE – presentata come una fonte di spesa superflua, dato che era nata per riscuotere le imposte “sul lusso” varate dalla giunta Soru, che la Corte Costituzionale ha cassato. Falso. L’ARASE è l’unico ente che controlla la correttezza delle entrate in Sardegna, sia quelle devolute, sia quelle regionali, sia ancora quelle compartecipate, e riscuote quelle devolute e le regionali. Ma questo è un particolare che ai nostri politici importa assai poco, lo hanno dimostrato bene durante l’ultimo ventennio, lasciandosi scappare dalle mani ben dieci miliardi di euro proprio per la mancanza o il mancato utilizzo di un tale prezioso istituto.
A cosa potrebbe servire dunque un ente del genere ad una classe dirigente che non fa alcun conto, oltre a quello della bottega? Forse a nulla, effettivamente. Ma ai sardi servirebbe eccome! Tanto per cominciare, come detto, proprio al controllo delle nostre entrate, cosa di grande valore vista la storia recente delle riscossioni regionali, sfociata nella vertenza entrate, con i suoi annessi e connessi.
In più questa agenzia ritenuta inutile sarebbe potuta diventare, come più volte da noi proposto, una vera e propria agenzia di riscossione, evitando tra le altre cose alcune vistose vessazioni tributarie su aziende e singoli cittadini, ora in balia di enti di riscossione appaltatori dello stato italiano e ad esso rispondenti. Se solo la classe politica sarda avesse a cuore il benessere del proprio popolo ed avesse operato in campo istituzionale con gli strumenti che già oggi possiede, sarebbe bastato far riferimento ai precedenti che nel sistema costituzionale italiano hanno in materia valore di legge. Per esempio quello relativo alla regione autonoma della Sicilia, cui è riconosciuta la riscossione diretta delle imposte.
Sarebbe bastato far valere lo stesso diritto costituzionale, in virtù del fatto che si parla di uno stesso soggetto istituzionale (la regione a statuto speciale) e quindi di un ente di pari grado. Allo stesso modo si sarebbe potuta imporre un’interpretazione più favorevole dell’art. 9 dello statuto sardo, in cui si dice chiaramente che “La Regione può affidare agli organi dello Stato l’accertamento e la riscossione dei propri tributi” . Propri tributi, cioè tutti quelli citati sopra all’articolo 9, in cui non c’è alcuna interruzione, non “ai tributi propri”, spostando l’aggettivo, che sono quelli regionali come recita il comma h dell’art 8 e in cui si specifica, non per nulla, chiaramente che quelli sono “regionali”.
Avere il controllo diretto ed immediato delle nostre finanze, oltre ad evitare gli scempi del passato, avrebbe consentito migliori ed immediati investimenti, ridotto i tempi di esecuzione degli interventi e nell’amministrazione dei servizi comuni, oltre al fatto di non doversi indebitare in attesa di quanto già nostro. Ma questo possono vederlo solo le persone che hanno già oggi una coscienza sovrana per il proprio popolo, non chi lavora, pensa e gestisce per interessi altrui.
Guliu Cherchi